I tanti volti dell’autoritratto - Sua Cuique persona di Monica Mazzolini

“L’artista sceglie se stesso come modello e ritraendosi accetta il gioco analitico che ognuno, con diversi gradi di competenza, praticherà sulla sua carne viva. La postura del corpo, lo scatto del volto, i lampi degli occhi, l’attitudine affettiva, il corredo d’oggetti: tutto sarà della sua effigie passato al vaglio. E l’esercizio d’una lettura introspettiva godrà di mille varianti, venendosi in esso a sommare le peculiarità psicologiche dell’artista e quelle dell’esegeta.” (Antonio Natali)

Attraverso le ventidue opere, di altrettanti autori presenti in questa collettiva dal carattere internazionale, percorriamo un viaggio culturale, estetico ed interiore. Differenti le tecniche e gli stili, ma uno scopo comune. Con l’autoritratto l’artista si mette in gioco tre volte. È al tempo stesso artefice, soggetto e spettatore. Utilizzando questo mezzo espressivo pone domande, cerca risposte: conoscere e farsi conoscere, comprendere e farsi comprendere. Rivelare o nascondere, rispecchiare o mascherare. Questa la dicotomia che sta alla base dell’autorappresentazione, perché nulla viene riprodotto con perfetta imparzialità. L’artista è neutrale quando - usando il pennello, la matita o lo scalpello - rappresenta se stesso? Questa è la domanda che sorge spontanea quando siamo difronte a questo genere di opere. Le risposte possono essere molteplici e sono associate al “sentire” dell’autore ma anche al nostro. In effetti, non solo attraverso la maschera l’uomo nasconde se stesso o diventa altro da sé ma in qualche modo questo accade anche quando usa lo specchio, perché quella che vede riflessa non è l’immagine riprodotta in esso con tutta esattezza. Lo specchio, un oggetto comune, apparentemente semplice, è in grado di svelare e rivelare, riflettere, duplicare, deformare e anche ingannare perché mostra e permette di riconoscere colui che vi si pone di fonte ma allo stesso modo è menzognero perchè inverte la figura, il lato destro diventa quello sinistro e questo è metafora del come l’uomo può vedersi e può essere visto dagli altri. La tecnica che sottende a molti tipi di pittura, di disegno e di scultura permette di meditare e modificare il segno ed il significato di ciò che viene raffigurato. È un metodo lento che l’artista è in grado di controllare. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare l’effetto e la presenza di quella parte inconscia ed oscura dell’essere umano e della possibilità di scegliere ed utilizzare particolari tecniche in cui l’automatismo, il caso e la velocità sono caratteristiche importanti che non permettono ripensamenti o valutazioni durante la realizzazione, prediligendo in questo modo il lato istintivo.
Autoritratti profondi, drammatici, ironici, esteticamente belli, armonici, dove si privilegia la rappresentazione del volto oppure l’interezza del corpo. Raffigurazioni che possono essere reali, immaginarie, idealizzate, concettuali, disarmoniche, celate, sdoppiate, sensuali, volte alla ricerca di un’interiorità che diventa ancora più profonda e completa, analizzando non solo la connotazione fisica dell’autore ma anche la sua identità attraverso la rappresentazione degli stati d’animo.
Il tratto, la pennellata, il colore sono una traccia, un segno ma spesso è l’invisibile, l’inatteso, quello che non è rappresentato ma si vede, che davvero racconta e trasmette qualcosa. E sebbene l’autoritratto arresti il tempo o rappresenti l’autore nelle sue caratteristiche fisiche e psicologiche d’insieme, nella sua essenza, non potrà mai descriverlo completamente e bloccarlo se non in quel preciso momento, perché l’uomo, come ogni cosa, è in continuo mutamento, in continua trasformazione. E alla domanda: “chi sono?” oppure “chi è?” l’autoritratto può dare solo una risposta transitoria talvolta vera ma anche ingannevole ed illusoria.
Monica Mazzolini

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